il Pallone e il Delfino
Due fuoriclasse nel pallone
Se come Mister dovessi schierarli entrambi in campo già dal primo minuto non saprei proprio a chi assegnare il mitico numero dieci. Certo il genio di Flaiano, quel suo estro sornione, imprevedibile e fulminante, che sa creare dal nulla le occasioni propizie, spiazza l’avversario e va quasi sempre a segno, con quei suoi “colpi di testa”, con quei suoi tocchi di fioretto che lasciano a bocca aperta il portiere distratto “alla difesa” e il pallone va a insinuarsi, con millimetrica precisione, nell’angolino all’incrocio dei pali e degli sguardi attoniti degli spettatori, non sembrerebbe avere apparentamento alcuno con la profondità del gesto dell’artiere Gabriele, atletico e allenato a tutte le tecniche, sia aeree – e che voli ardimentosi! – che con palla a terra, sia d’attacco che di difesa, anche se gli è più congeniale l’attacco, che guizza in ogni dove e in ogni reparto avversario porta scompiglio, avvezzo alle sgroppate a fondo campo, assolutamente immarcabile nelle sue incursioni, apparentemente paradossali, imprevedibili invenzioni e a volte troppo plateali esibizioni di gioco e di gesti. Vincere sempre è il suo motto. Non è stato del resto lui l’inventore di quello scudetto tricolore che tutte le squadre vorrebbero esibire sulle magliette dei propri giocatori? Col piglio del cannoneggiatore, ma anche con quello del rifinitore, che sa far girare la palla a piacimento, inventando giocate, non solo a parole, che né Sivori, né Rivera, né Maradona – ci vogliamo mettere anche Verratti, Insigne e Lapadula? – saprebbero imitare.
Questi due fuoriclasse nel pallone della creatività, questi due Coppi e Bartali dell’invenzione letteraria, più di quanto si pensi, e più di quanto dagli stessi apertamente riconosciuto, si identificano, nel carattere, nella passione, nell’ironia, nel sarcasmo, ma anche a volte nello sconforto, con il carattere dei pescaresi, che si riversa prepotentemente anche nella loro passione sportiva, per il calcio soprattutto, lo sport di gran lunga più amato in città, anche se nella sua storia ci sono gloriosi appa10
rentamenti nel campo dell’automobilismo, con la storica coppa Acerbo e in quello del ciclismo, che ancora dura, con il Trofeo Matteotti. Benissimo hanno dunque fatto Mastrangelo, Smoglica e Martocchia a coinvolgere d’Annunzio e Flaiano, e non solo loro ma anche numerosi altri, tra viaggiatori e scrittori, artisti e intellettuali di varia estrazione, italiani e stranieri, in questo loro appassionante viaggio nel calcio e con il calcio pescarese. Giustamente non si sono accontentati solo del calcio, la cui storia viene puntigliosamente ricostruita nei minimi particolari, dalle prime partite tra Castellammare e Pescara e le altre squadre del circondario, con le rispettive tifoserie, ma con il calcio hanno coinvolto appieno la città nel suo farsi, nei suoi gangli vitali, con il suo mare e il suo fiume, con la sua antica e assai poco conosciuta storia e con la sua vita culturale e sociale, anche queste meticolosamente ricostruite, il tutto con un nutrito apparato di testimonianze, nel suo disordinato sviluppo economico e urbanistico, delineandone un profilo ricco e variegato che si legge con grande piacere ed interesse, ricavandone anche un gran numero di notizie inedite o assai poco conosciute. Va dunque ben oltre l’occasione che l’ha generato, questo bel libro che viene pubblicato per gli ottanta anni della Pescara Calcio, s’immerge nelle vicende più coinvolgenti di una città, la cui natura e vocazione non sono sempre state facilmente caratterizzabili, da Piovene definita una “città americana” che molti anni dopo Gian Luigi Piccioli descrive esemplarmente nel suo bel romanzo La Pescarina. L’età del cambiamento, e dallo scrittore Pomilio etichettata come la “città della fuga in avanti”, che troppo spesso, forse per la sua smania esuberante e disordinata di “progredire”, riesce a serenamente guardarsi indietro. Ma il ritorno in Serie A e la gran festa che ne è seguita ha ora nuovamente galvanizzato la città. È stata una folla oceanica (per usare un neologismo coniato dal Vate), entusiasta e festante, con il cuore pulsante della tifoseria, in cui non mancavano flaianei e felliniani “paparazzi” e “vitelloni”, quella che dalle strade tutte imbandierate in biancazzurro del centro e delle periferie, anche quelle troppo spesso e troppo a lungo dimenticate, che ricordava, “pochi momenti come questo belli” (Saba), si è riversata su Piazza Salotto e alla Nave di Cascella, (un nome, una famiglia, una squadra anch’essa, di grandi artisti che ha portato, come d’Annunzio e Flaiano, Pescara nel mondo), con l’apoteosi a Piazza della Repubblica. È stata un’espressione di straordinaria fedeltà ed amore per
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la città e per questo grande spettacolo che è il calcio e che Pasolini, anche lui a suo modo affascinato da Pescara e dal suo lungomare, considerava l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, “un linguaggio con i suoi poeti e prosatori”, come del resto Giancarlo Cadè, Antonio Valentin Angelillo, Giovanni Galeone, Zdeněk Zeman e ora Massimo Oddo, che hanno saputo scrivere pagine indimenticabili. È stata esemplarmente una entusiastica iniezione di speranza anche per la “salvezza” futura, insomma un monito che non resti inascoltato, per dirigenti e amministratori, a proseguire il viaggio appena intrapreso, questa volta, ardentemente si spera, senza smarrire repentinamente la rotta. Forza Pescara!
Dante Marianacci
Presidente del Centro Nazionale di Studi Dannunziani
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